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Il questionario MiFID può essere considerato un valido alleato commerciale perché permette al consulente in ambito finanziario di porre al cliente una serie di domande molto dirette e personali, ma allo stesso tempo ne può rappresentare il maggiore limite attivando le cosiddette “trappole cognitive”.

Le nuove norme di trasparenza ed eticità, imposte al settore, rendono ancora più evidente la necessità di affrontare l’argomento.

Come esempio di utilità, da una parte, il fatto che la domanda sul capitale investito del cliente, così come quelli presso altri istituti, sia obbligatoria, aiuta ad ottenere informazioni personali in maniera più semplice.  Dall’altra però, scopriamo che vi sono alcuni passaggi che rischiano di “imbottigliare” verso un certo tipo di investimento.

Poniamo l’esempio che tu sia il cliente con la disponibilità di una certa somma, la domanda posta dal questionario “qual è il principale obiettivo del suo investimento” cosa ti induce a pensare riguardo all’orizzonte temporale per il quale sei disposto ad investire? Che la somma a disposizione possa essere suddivisa in più parti, eventualmente con orizzonti temporali diversi, per una corretta diversificazione, oppure che debba essere investita in unica soluzione?

Questo tipo di domande tendono a bloccare un’efficace diversificazione dell’ investimento. Ma come uscire da questa trappola? Solo dando informazioni opportune al cliente nel momento giusto.

Le idee espresse in questo video sono tratte dal capitolo dedicato alla vendita consulenziale dei prodotti finanziari presente nel libro “La vendita consulenziale nei servizi bancari” dove  c’è un riferimento preciso ed esplicito al questionario miFID.

Andrea Magnani

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