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Competenze manageriali nel Credito Cooperativo

In questo articolo ci occupiamo dello Sviluppo delle Competenze Manageriali nelle Banche di Credito Cooperativo, non solo per la rete ma anche per gli uffici di sede.

Il progetto BCC al Quadrato, per cui siamo maggiormente conosciuti, è orientato a migliorare i risultati commerciali delle BCC. Da quindici anni, anche all’interno di questi progetti, lavoriamo sullo sviluppo delle competenze manageriali più critiche per l’impatto sulle vendite.

Pensiamo, per esempio, al Preposto che deve intervenire quando la Filiale che dirige non sta raggiungendo gli obiettivi di budget assegnati; quando, ad esempio, un suo consulente non fissa abbastanza appuntamenti con i clienti del proprio portafoglio. Oppure pensiamo al ruolo Capo Area ed alle sue responsabilità.

Più recentemente abbiamo avuto richieste di lavorare sulle competenze di leadership e manageriali anche per gli uffici di sede e sono emerse delle riflessioni che vi condividiamo. Sotto al cappello delle “Competenze Manageriali” si racchiudono diversi tipi d’interventi che hanno obiettivi differenti a seconda dei destinatari. Li riassumiamo in tre macrocategorie:

1. Intervento su coloro che già ricoprono ruoli manageriali.

Possono essere quadri intermedi, responsabili di uffici… in questo caso l’obiettivo è precisamente quello di elevare la loro capacità manageriale. In che modo farlo?

    Secondo i principi che guidano il nostro approccio al cambiamento, le principali cause di fallimento — ovvero progetti formativi efficaci sulla carta, ma che non modificano in alcun modo i comportamenti reali — sono principalmente due:

    1. L’adozione di un programma standard sulle competenze manageriali, che però le persone percepiscono come astratto e distante dalla loro quotidianità.
    2. La mancanza di un accompagnamento nel tempo: il cambiamento delle abitudini richiede presenza e allenamento, soprattutto quando si affrontano situazioni difficili. Pensiamo, ad esempio, a un responsabile che vive con molta ansia il momento di dare un feedback correttivo: non possiamo aspettarci che, solo perché ha imparato tre regolette, riesca a metterle subito in pratica.

    Quando questi elementi mancano, si perde la motivazione. I partecipanti, di conseguenza, finiscono per non considerare il percorso di sviluppo né utile né rilevante.

    Per superare queste difficoltà, abbiamo predisposto un piano di reclutamento strutturato. Insieme alla direzione definiamo le competenze chiave — ovvero quelle in grado di generare un impatto concreto sull’organizzazione — partendo da un modello basato sulle linee guida europee. Successivamente, somministriamo un test situazionale per verificare il livello attuale di ciascun partecipante. Sulla base dei risultati, costruiamo un percorso personalizzato: ogni competenza viene sviluppata attraverso una giornata formativa e almeno due incontri individuali. Il primo è dedicato all’allenamento personalizzato, il secondo al coaching di follow-up.

    2. Intervento su coloro che ricoprono o andranno a ricoprire ruoli dirigenziali, di prima linea, in un prossimo futuro.

    Anche in questo caso si parla di sviluppare competenze manageriali, ma dalla nostra rilevazione emerge un’esigenza più profonda: il vero obiettivo del percorso è aumentare la coesione del gruppo.

    Secondo Patrick Lencioni, avere un gruppo di direzione unito e collaborativo è un fattore chiave per un business sano e produttivo. Questa condizione ha un impatto positivo che si riflette, a cascata, su tutti i livelli dell’organizzazione.

    Del resto, chiunque abbia esperienza in un’organizzazione conosce bene le conseguenze di un disallineamento tra figure apicali — ad esempio tra il Direttore Commerciale e il Direttore Marketing. Non è difficile capire perché Lencioni parli di “disfunzioni”. Un lavoro sulla coesione è utile sempre, anche quando un team sembra già funzionare bene.

    Pensiamo, ad esempio, a una banca che ha appena vissuto un processo di fusione: persone provenienti da contesti diversi, con strumenti, abitudini e modalità relazionali differenti, si trovano improvvisamente a condividere gli stessi obiettivi.

    Come accade nell’incontro tra culture diverse, è facile che nascano fraintendimenti: ognuno tende a giudicare il comportamento degli altri sulla base della propria esperienza. Le tensioni, l’insoddisfazione o un senso di malessere vengono spesso tenuti sotto controllo, perché si tratta di professionisti esperti. Ma cosa accadrebbe se, invece, questi aspetti lasciassero spazio a una comunicazione più efficace e a un livello più fluido di collaborazione?

    Lavorare sull’aumento della coesione produce benefici tangibili per l’intera organizzazione. È quindi evidente che, per raggiungere questo obiettivo, non si possa utilizzare lo stesso approccio pensato per lo sviluppo delle competenze manageriali.

    Per questo proponiamo percorsi — anche fuori dal contesto aziendale — incentrati sull’approfondimento del proprio modo di “funzionare”, comunicare e prendere decisioni. Utilizziamo test individuali, i cui risultati vengono restituiti in modo privato, e accompagniamo il gruppo in una fase di condivisione facilitata. Da qui, costruiamo una sintesi finale su come mettere in pratica queste conoscenze nelle sfide lavorative quotidiane, attraverso applicazioni concrete.

    3. Intervento su persone che non sono in una posizione manageriale ma che a tendere potrebbero andare a ricoprirla.

    L’obiettivo, in questo caso, non è trasferire competenze che non potranno applicare subito, ma aiutare queste persone a individuare il loro potenziale di crescita. Non proporremmo mai un percorso analogo a quello indicato nel primo punto: sarebbe come far partecipare un giocatore a un seminario sul tennis, sperando che tra sei mesi, un anno o due, quando scenderà finalmente in campo, si ricordi qualcosa. A meno che la persona non entri nella funzione il giorno seguente, nel qual caso farebbe parte del gruppo 1, escludiamo un percorso di quel tipo.

    Lo scopo non è quello di impartire competenze che non avrebbero modo di applicare subito, piuttosto di aiutarli a individuare il loro potenziale di crescita. E’ un lavoro strutturato e concertato di conoscenza e di verifica se la futura  identità professionale può essere allineata con la persona stessa.  Questo processo è estremamente utile per la Banca stessa, che può così verificare se le persone identificate sono realmente adatte ai ruoli futuri.  


    È fondamentale comprendere che un percorso di sviluppo standardizzato risulterebbe inefficace se non tenesse conto delle tre categorie sopra descritte, ciascuna con obiettivi specifici e approcci metodologici differenti.

    Siamo a disposizione per qualsiasi approfondimento o domanda.

    Andrea Magnani e il team di LAM Consulting srl Sb

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